lunedì 23 dicembre 2019

ARTHUR SCHOPENHAUER

PENSIERO FILOSOFICO

 Schopenhauer considera Kant il pensatore decisivo dell’età moderna. L’elemento che Schopenhauer ama nel kantismo, fino a farne il punto di partenza della propria dottrina, è la distinzione tra fenomeno e noumeno. Kant considerava il fenomeno l’oggetto dell’esperienza sensibile e il noumeno/la cosa in sé, inconoscibile dall’intelletto umano. Schopenhauer estremizza  questa distinzione facendone un vero e proprio dualismo gnoseologico e ontologico.
Da una parte vi sono i fenomeni, che sono considerati come semplici apparenze, come volti superficiali delle cose, dall’altra c’è il noumeno considerato come quella dimensione sostanziale delle cose medesime, che sfugge alla conoscenza intellettuale.
Partendo da questa visione dualistica, il mondo e l’intera realtà è “rappresentazione e volontà”: i fenomeni sono l’apparenza, l’illusione, cioè il mondo della rappresentazione, dominato dal principio di causalità. La vera realtà noumenica è invece, celata  da un “velo di Maya”, è il mondo come volontà.
La volontà  per Schopenhauer è una forza irrazionale non rappresentabile ed irriducibile alla considerazione logico-scientifica, ed agisce nella natura, e nell’uomo, determinando una universale condizione di affanno e schiavitù nella lotta per l’esistenza. L’uomo può liberarsi da questa schiavitù , soltanto annullando la propria volontà di vivere. Schopenhauer parla di “nolonta” a cui l’uomo può aspirare, ovvero rinuncia alla propria individualità ed esigenze .
Sono tre le strade che l’uomo può scegliere di perseguire come vie di liberazione:
  • la contemplazione artistica
  • la moralità, specialmente la compassione
  • l’ascesi
Schopenhauer usa il termine volontà non nel senso di intenzione cosciente, volere razionale, ma, al contrario, nel senso di impulso, energia, forza irrazionale, che non è diretto al conseguimento di qualche scopo razionalmente determinato; è inconscia, sottratta allo spazio ed al tempo, eterna ed infinita, senza causa e priva di scopo.
La volontà non obbedisce né alla  ragione, né alla morale, perciò la volontà di vivere, è una forza cieca, un desiderio, che si mostra in forme  diverse finoo al culmine dell’uomo, quando cioè giunge alla piena consapevolezza di se stessa.
La visione di Schopenhauer è fondamentalmente pessimista: se la volontà è per tutti gli uomini, un continuo desiderio,un’ insaziabile ricerca, da questa incessante ricerca, non può che derivare uno stato di continuo bisogno, una condizione di vuoto, che si manifesta come sofferenza e dolore.
Anche se l’uomo arriva ad appagare un suo desiderio, si tratterà sempre di un piacere momentaneo, perché altri e sempre nuovi desideri si faranno sentire.  L’appagamento dice Schopenhauer è come l’elemosina che “gettata al mendicante, prolunga oggi la sua vita per continuare domani il suo tormento”.
L’uomo non ha vie d’uscita, “la sua vita oscilla come un pendolo, di qua e di là tra il dolore e la noia” perché la vita è “ una faticosa “battaglia per l’esistenza con la sola certezza della sconfitta finale”.  Il tempo è un fluire inesorabilmente, e  nel trascorrere consuma le cose. La vita è ” una morte rinviata,  e dove la morte deve vincere “.  Nonostante la sua visione pessimistica della realtà, Schopenhauer esclude il suicidio, perché esso non è una via di liberazione perché l’uomo che si uccide nega la vita e non la volontà
IL MONDO COME VOLONTA’ E RAPPRESENTAZIONE
Nel 1818 porta a termine la sua opera principale, che si intitolerà, Il mondo come volontà e rappresentazione (Die Welt als Wille und Vörstellung), che influenzerà il pensiero di Nietzsche e di Freud, ed è ritenuta una delle opere più importanti del romanticismo antidealistico. Nella prima parte della sua opera Schopenhauer esamina i caratteri del mondo in quanto rappresentazione e in una larga sezione è dedicata alla ricerca dei modi in cui l’uomo può liberarsi dalla volontà che freme dentro di lui.
Schopenhauer, riprendendo un principio della filosofia indiana, chiama il “Velo di Maja”, la realtà visibile. Il mondo no esiste se non come rappresentazione: non è il mondo in se ad avere un senso ed un significato, ma è l’uomo che cerca di interpretare  e dare un significato al mondo.


giovedì 21 novembre 2019

LUDWIG ANDREAS FEUERBACH


Ludwig Feuerbach (Landshut 1804 -  Rechenberg, Norimberga 1872) è tra i critici più influenti della religione, elaborò una filosofia umanistica di ispirazione materialistica che influì anche sul giovane Karl Marx.
La sua attività filosofica è stata divisa in tre periodi: quello hegeliano (1828-1838), quello umanistico (fino al 1845) e quello naturalistico (1845-1866).
Il problema principale della filosofia di Feuerbach è la liberazione dell'uomo dai molti vincoli che lo incatenano, a partire da quello religioso, che lo rende dipendente da una potenza superiore ritenuta divina. A tale argomento è dedicata la sua opera maggiore, "l'essenza del cristiansimo", che segna il passaggio da una concezione teologica (quella Hegeliana) a una antropologica, detta anche "umanismo" per la centralità attribuita alll'uomo naturale e sensibile.
Feuerbach ritiene che l'oggetto della filosofia debbano essere l'uomo come essere naturale e concreto, le condizioni di vita materiali delle persone.
Afferma che la religione genera alienazione infatti comporta la rinuncia della propria essenza a favore di un essere estraneo e trascendente pertanto l'abbattimento della religione diventa presupposto dell'emancipazione.


HEGEL: RAPPORTO SERVO-PADRONE

Il rapporto servo padrone è per Hegel un momento dell’autocoscienza , momento che nasce dallo scontro dato dal co-esistere dell’io con l’altro-da-sé. Questo scontro è necessario alla coscienza per inverarsi e rivelarsi come ” essere in sé e per sé”. Il suddetto scontro non ha MAI come esito la morte dello Spirito( è impossibile,infatti, che questo cessi di esistere; al massimo può avvenire la morte del corpo) MA il SOGGIOGAMENTO dell’una o dell’altra parte. Questo soggiogamento consiste nel RAPPORTO SERVO/PADRONE. Il secondo, avendo raggiunto la coscienza della necessità della morte (come rivelazione dell’Assolutezza del nostro Spirito, la quale può avvenire solamente tramite la sua antitesi), non ne ha timore e mette a rischio la vita del corpo. Nella vittoria diviene PADRONE. Il SERVO è invece colui che ha voluto preservare il proprio corpo e per questo subisce un soggiogamento. Il padrone gode dei servigi di quest’ultimo e ne risulta che questo disimpara a fare ciò che il servo ora fa per lui. Il servo,nel frattempo, dipendendo dalle COSE che fa per il suo padrone, diventa anch’egli COSA(si parla di coscienza servile). Essendo il servo cosa, il padrone non lo riconosce come polo dialettico con il quale confrontarsi MA Solo affrontando il confronto con l’altro-afferma Hegel- la coscienza del padrone puo’ automigliorarsi attraverso il processo triadico( tesi, antitesi,sintesi). Al contrario il servo vede il padrone come polo dialettico. Difatti, la coscienza del servo , pur apparentemente negata dalla servitù( poiché la suddetta coscienza va, tramite questa, a corrispondere a quella del padrone) ; in realtà si invera tramite il lavoro servile: si rivela tramite la negazione della negazione( negazione della servitù). Assistiamo quindi ad un rovesciamento delle parti. Il servo imparando a fare ciò che il padrone disimpara a fare , diventa indipendente dal padrone ; mentre il padrone ora dipende dal servo.

mercoledì 16 ottobre 2019

Friedrich Schelling

Schelling aderisce al fichtismo e lo utilizza nell’ambito naturalistico-estetico. Egli riporta l’Io assoluto alla Sostanza di Spinoza:
  • La Sostanza di Spinoza è il principio dell’infinità oggettiva;
  • L’Io di Fichte è il principio dell’infinità soggettiva;
Schelling vuole unire le due infinità nel concetto di un Assoluto che non è riconducibile né al soggetto né all’oggetto. Questo perché egli si accorge che una pura attività soggettiva non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale; ed un principio puramente oggettivo non potrebbe spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’io.
L’Assoluto non è soggetto e non è oggetto ma è l’unità o identità indifferenziata (non vi è priorità dell’uno sull’altro) di:
  • Soggetto e oggetto;
  • Spirito e natura;
  • Ideale e reale;
  • Conscio e inconscio.
Ora, se la totalità è l’unione di soggetto e oggetto, di finito e infinito, di spirito e materia, di io e mondo, dice Schelling, si potranno avere 2 possibili direzioni della ricerca filosofica:
  • O si va dalla natura all’io, si parte dall’oggetto e si deve spiegare come nasce il soggetto, e si ha la filosofia della natura;
  • oppure, si va dall’io al mondo , cioè dal soggetto per spiegare l’oggetto, e si ha la filosofia dello spirito, la filosofia trascendentale.
La filosofia della natura: diretta a mostrare che la natura si risolve nello spirito, perché non c’è una natura che sia puramente natura (cioè pura oggettività):
Se la natura è un’oggettivazione, è la parte oggettiva dell’assoluto, allora deve contenere in sé anche lo spirituale: la natura non è semplicemente qualche cosa di materiale, ma è anche qualche cosa di spirituale e di ideale. Schelling arriverà a dire che la natura è preistoria della coscienza o coscienza pietrificata, cioè è spirito che si manifesta in forme materiali.
Schelling rifiuta il concetto fichtiano della natura (non-io/materia) e sostiene che la natura ha vita, razionalità e quindi valore in se stessa. Per Schelling la natura non è estranea allo spirito, bensí è spirito oggettivato. Schelling vede in tutta la natura, a partire dai fenomeni più elementari, l’agitarsi del logos, dell’intelligenza, dell’idea, che poi sboccia nell’uomo.
Complessivamente considerata la natura si configura come un processo in cui si ha una progressiva materializzazione della materia e un progressivo emergere dello spirito. In altri termini la natura è un’odissea dello spirito che si cerca attraverso le cose per giungere finalmente presso di sé, con l’uomo.
Schelling rifiuta i 2 tradizionali modelli esplicativi della natura: quello meccanicistico-scientifico e quello finalistico-teologico. A questi 2 modelli egli contrappone il proprio ⇒organicismo finalistico immanentistico:
  • Organicismo perché ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti;
  • Finalistico-immanentistico perché nell’universo si manifesta anche una finalità superiore che però non deriva da un intervento esterno ma è interno alla natura stessa (finalismo-immanentistico).
In altri termini la natura è “un organismo che organizza se stesso” e non una creazione di un Dio-architetto. La natura è vista come un’entità spirituale inconscia immanente nella natura. La natura, “anima del mondo”, costituisce un tutto vivente, ovvero un immenso organismo in cui ogni cosa compresa la sfera inorganica, risulta dotata di vita.
La natura si realizza dialettizzandosi in 2 principi di base: l’attrazione e la repulsione. Ogni fenomeno si origina da un’azione e da una reazione e la natura agisce attraverso la lotta di forze opposte presenti nei corpi  e che operano o meccanicamente (gravitazione) o chimicamente (affinità). Sono possibili 3 casi:
  • Se le forze sono in equilibrio si hanno i corpi non-viventi;
  • Se l’equilibrio viene rotto e poi ristabilito si ha il fenomeno chimico;
  • Se l’equilibrio non viene ristabilito e vi è una lotta permanente tra le forze allora si ha la vita.
Schelling si differenzia da Fichte su 2 concetti chiave:
  • L’assoluto come natura e spirito
  • Il valore autonomo della natura
La filosofia trascendentale: diretta a mostrare come lo spirito si risolve nella natura, perché non c’è uno spirito che sia puramente spirito.
La filosofia trascendentale procede in senso inverso, cioè dal soggetto all’oggetto, alla natura.
Se la filosofia della natura parte dall’oggettivo per derivarne il soggettivo (= lo spirito), mostrando il progressivo farsi intelligenza della natura, la filosofia trascendentale parte dal soggettivo per derivarne l’oggettivo, mostrando il progressivo farsi natura dell’intelligenza.
In altre parole se la filosofia della natura parte dal realismo (dall’oggetto, dal reale e dal materiale) per giungere all’idealismo (al soggetto, all’ideale e al formale), la filosofia trascendentale parte dall’idealismo per giungere al realismo.
In sintesi la filosofia ha il compito, analogo a quello affrontato da Fichte, di dedurre l’oggetto dal soggetto.
Come avviene questo processo?
Nello sviluppo dell’io ci sono tre epoche:
  • in un primo momento l’io è rivolto semplicemente all’esterno e riceve passivamente i dati dall’esterno. E’ la fase della sensazione, nella quale l’io è passivo di fronte ai messaggi che gli vengono dalle realtà sensibili. Questo momento si può anche paragonare con la fase dell’empirismo ingenuo in filosofia.
  • Nella seconda fase, la coscienza non rispecchia semplicemente i dati esterni, ma riflette su se stessa, l’io riflette sui suoi modi di organizzare la conoscenza esterna, e si ha la fase della riflessione. Questa fase riproduce i procedimenti kantiani: il rintracciare le categorie, i modi di organizzazione della conoscenza che Kant aveva già delineato.
  • Infine l’io supera questo suo porsi di fronte al mondo e arriva al porre se stesso. Questa è la filosofia di Fichte. Una volta che l’io si è pienamente sviluppato si contrappone alla realtà, oltre che un io conoscente è anche volontà, quindi è già qualche cosa che si protende verso il mondo, e opera e quindi dà luogo alla filosofia pratica. Adesso l’io si è pienamente costituito come soggetto autocosciente e cerca di influenzare la realtà pratica.
Non è possibile la filosofia della natura senza la filosofia trascendentale: ciascuna coglie solo una metà della realtà. Bisogna congiungere l’una con l’altra.
A questo punto per Schelling si pone un problema radicale: come cogliere l’identità tra oggetto e soggetto. Se c’è un rapporto tra soggetto ed oggetto, non è perché c’è un Dio che fornisce dall’inizio dei tempi un’armonia prestabilita a questi rapporti, ma evidentemente ci deve essere un elemento originariamente unitario tra soggetto e oggetto.
Egli deve cercare un mezzo, che gli permetta di cogliere oggettivo e soggettivo insieme, e approda all’identificazione di questo elemento nell’arte.


Georg Wilhelm Friedrich Hegel

I tre concetti chiave della filosofia hegeliana sono:

1. La convinzione della razionalità del reale per cui tutta la realtà coincide con il dispiegarsi progressivo di un principio razionale (l'idea o assoluto) il quale è onnicomprensivo e non è sostanza ma processo dunque la sua verità si rivela alla fine, in cui si realizza la sintesi dei momenti precedenti. La filosofia è descrizione di ciò che è già avvenuto a comprensione della struttura razionale degli eventi, questa è chiamata metafora della nottola di Minerva.

2. L'idea che fa verità coincide con il tutto cioè non consiste in una considerazione parziale delle cose (astrazione), ma nella loro visione completa e globale infatti ogni cosa o aspetto del reale ha un senso che risiede nella sua relazione con tutti gli altri.

3. La concezione dialettica della realtà e del pensiero secondo cui la realtà e il pensiero seguono la medesima legge di sviluppo, che si compone di tre momenti:
→ Intellettuale o astratto (tesi) = l'affermazione o posizione di un concetto astratto e limitato
→ Dialettico o della negazione (antitesi) = la negazione della tesi come concetto limitato e finito
→ Speculativo (sintesi) = la negazione della negazione, che è affermazione dell'unità delle                       determinazioni opposte

Nella Fenomenologia dello spirito si presentano le tappe della vita dello spirito nel suo percorso verso il sapere assoluto che sono:
- La fase della coscienza → la coscienza conquista la consapevolezza di se e della propria funzione costitutiva del senso delle cose;
- La fase della autocoscienza → la coscienza ottiene la conferma della propria identità e libertà;
- La fase della ragione → l'autocoscienza si eleva a ragione e assume in se ogni realtà.
Nella Fenomenologia dello spirito si afferma una visione ottimistica e giustificazionista della realtà e della storia infatti lo sviluppo dialettico della realtà necessita della contrapposizione e della negazione, ma le supera in una sintesi superiore la quale rivela l'intrinseca razionalità della storia e giustifica ogni evento all'interno di una visione onnicomprensiva e si identifica con il sapere assoluto e lo stesso sistema hegeliano.




Johann Gottlieb Fichte

-La filosofia di Fichte parte dal proposito di porre l'idea pratica della libertà come unico fondamento di un sistema unitario della filosofia.

-Nella Dottrina della scienza elabora una filosofia di tipo trascendentale, studiando i passi di autoconsapevolezza con cui si costituisce il sapere della coscienza.

-In un primo momento Fichte si preoccupa di mettere a fuoco i dinamismi costituenti del sapere, enunciando un circolo di principi trascendentali: 
1. "l'io originariamente pone assolutamente il suo proprio essere"; 
2. "all'io è opposto assolutamente un non-io"; 
3. "io oppongo nell'io all'io divisibile un non-io divisibile".

-Fichte evolve da una posizione di umanesimo, in cui l'io è l'uomo, a una sorta di misticismo, in cui l'essere è Dio e la dottrina della libertà dell'uomo si trasforma in una teoria della grazia. Affronta, infatti, il problema del rapporto fra il principio del sapere, cioè l'io, la ragione, e la radice ultima, cioè l'assoluto.

-Fichte individua quattro visioni del mondo, che corrispondono ad altrettante discipline filosofiche specifiche: dottrina della natura, del diritto, dell'etica, della religione.

-Elabora anche una filosofia politica, passando da una iniziale esaltazione della libertà dell'individuo, in connessione con gli ideali della rivoluzione francese, a una sottolineatura del ruolo dello Stato.